SI SE PUEDE
Hardt in movimento
Il ruolo dei no global al tempo di Obama
di Orsola Casagrande
11 / 9 / 2009
Con Toni Negri e Michael Hardt, l’altra sera a Global Beach si è discusso su come l’america ha affrontato la crisi economica. Già a Vicenza, Hardt e Negri (che dopo Impero e Moltitudine hanno appena dato alle stampe Commonwealth), ospiti del festival No DalMolin, avevano offerto una lettura particolare di ciò che sta accadendo negli Usa. In particolare Michael Hardt aveva così riassunto la questione: l’elezione di Obama è stata possibile grazie ai movimenti o la mobilitazione elettorale ha risucchiato i movimenti stessi? «Il problema - dice Hardt - è capire se la mobilitazione elettorale ha in qualche modo risucchiato i temi che hanno caratterizzato i movimenti anche negliUsa e cioè il no alla guerra, l’antirazzismo e anche la loro retorica.
Non dimentichiamo - aggiunge – che per esempio lo slogan dei latinos, si se puede, è diventato lo slogan di Obama, yes we can».
Hardt sottolinea più volte la necessità di capire se dopo l’elezione di Obama «il movimento che è sceso per le strade mobilitandosi per mandare a casa Bush sarebbe sopravvissuto». Per il momento Hardt
sostiene di «non aver trovato ancora una risposta. Bisogna ammettere che i movimenti non hanno detto
quasi nulla. Ma c’è ancora tempo, non voglio essere pessimista». Però non v’è dubbio, sostiene Hardt che I movimenti «stanno vivendo un impasse, negli Usa. Da un lato - insiste - è certo che Obama non è Bush, è certo che con il ritiro anche se lento dall’Iraq stiamo assistendo a un cambiamento anche se credo che la questione cruciale nella risoluzione di questo impasse potrebbe essere l’Afghanistan».
Se l’alternativa per i movimenti è tra sostenere il governo amico turandosi il naso oppure attaccare il governo amico come si attaccava il governo Bush, allora per Hardt non si esce dall’impasse.
«Mi ha impressionato a gennaio il mio viaggio in Chiapas al festival zapatista. Lì in generale la scelta era piuttosto di continuare l’opposizione, la resistenza anche se c’è un governo di sinistra. Poi - dice - sono stato a Belem e lì in generale c’era l’altra idea, cioè che i movimenti dovevano appoggiare I governi di sinistra per vincere su una oligarchia di destra». Hardt entra più nel cuore degli sviluppi
negli Usa ponendo un’altra questione.
«Il dibattito sulla riforma dell’assistenza sanitaria - dice - è centrale. Perché il governo Obama ha scelto
di affrontare adesso, nel bel mezzo della crisi, questo problema? Perché non ha prima ricercato una ripresa economica per poi, con i soldi, affrontare l’assistenza sanitaria?». La risposta che si dà Hardt è
lineare. Perché la riforma sanitaria è essenziale per la ripresa economica. «Anzi - dice - è anche più importante di una ripresa del mercato automobilistico a Detroit.
Si tratta - aggiunge - della caduta della barriera tra produzione e riproduzione, è centrale economicamente oggi la produzione della soggettività o delle forme di vita».
Lo scopo della produzione capitalistica oggi per Hardt è la «produzione di soggettività e forme di vita. Perché oggi i settori di maggiore crescita dell’economia, cioè sanità, formazione e cultura sono quelli centrali nella svolta biopolitica dell’economia». E su questo punto Hardt si concede un «elogio al governo Obama che almeno ha capito che in questo contesto biopolitico bisogna badare alla produzione
di forme di vita e non solo delle merci per una ripresa economica».
A Vicenza Toni Negri aveva affrontato la questione del momento di passaggio in cui ci troviamo. «Dallo stato nazione alla globalizzazione, cioè la forma nella quale l’istituzioni riescono ad organizzarsi in maniera globale. Un passaggio - dice Negri - che avevamo previsto, che i movimenti avevano previsto. Il prevedere le cose non è mai viverle. Questa difficoltà che fa parte del modo stesso di vivere e del modo di vivere politicamente, cioè insieme e soprattutto del modo di costruire resistenza, autonomia, indipendenza all’interno di queste grandi trasformazioni. All’imperialismo -aggiunge - è susseguita la globalizzazione, cioè un tessuto globale sul quale si tratta di stabilire in maniera plurima come le cose devono andare, possono andare, controllate, sfruttate. Come sempre c’è un comando e c’è una resistenza. Ma gli equilibri sono aperti solo sul livello globale, non esistono possibilità alternative al livello globale».
La conseguenza è che «non c’è crisi che possa essere risolta se non a livello globale. La nostra vita è globale.
Questa situazione - incalza Negri – è completamente irreversibile. Il problema grosso diventa come si
fa a governare dentro questo passaggio. Se parliamo di politica dobbiamo parlare di governo, del rapporto tra comando e obbedienza».
Fonte. Il Manifesto 11.09.2009
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